Correvo. Una corsa breve e tranquilla doveva essere, solo per smaltire il lunghissimo di ieri.
Corro solitario sulla Via delle Rogge, ho fatto un tratto in andata verso sud, giro di boa e ritorno verso Reana.
La ciclabile ha qualche tratto con pozzanghere che sono costretto ad evitare uscendo "fuoristrada", qua e là qualche insidia dovuta alla pioggia di questa notte.
Affronto una curva verso destra, appoggio il piede destro su una zolla di terra, perdo l'appoggio e di conseguenza l'equilibrio.
Inizia quella sequenza di momenti che ognuno di noi ha vissuto certamente nella vita, pochi secondi ma che sembrano interminabili.
Perso l'equilibrio, il baricentro si sposta in avanti, comincio a "nuotare" nell'aria, faccio qualche passo, avverto che il terreno è sempre più vicino al mio volto. Ancora un passo, due.
Ormai l'inevitabile caduta è scontata, l'istinto invita a portare le mani in avanti a difesa del volto.
Questi istanti scorrono veloci eppure c'è il tempo anche per dire una bestemmia (nel mio caso solo un PORCA PUTTANA). Le mie mani toccano il terreno, bruciano.
Dopo quasi 10 m dall'inciampo la mia inerzia si ferma.
Il tutto è durato 2 secondi, al massimo 3 ma il tempo si è dilatato.
Il primo pensiero è naturalmente di fermare il Garmin poi la domanda è d'obbligo: quanto mi sarò sbucciato? Sarà una ferita profonda? Eppoi ho fatto solo male alle mani? Le ginocchia? Le gambe?
Un'altra imprecazione, mi rimetto in piedi e faccio un'analisi della situazione.
Sono infangato e sanguinante, zoppico ma non vedo la situazione molto tragica.
Una pozzanghera vicina mi permette di ritrovare un minimo di decenza. Riavvio il Garmin e riparto...tutto sembra a posto.
Rientrato a casa curo le ferite, tante escoriazioni ma nulla di serio. Per questa volta è andata bene.
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